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Guidare la globalizzazione sui mercati internazionali
LA POLITICA HA BISOGNO DI MANAGEMENT


   Anche se i mercati internazionali sembrano spesso sull'orlo del collasso, in realtà, lo sviluppo dell'economia mondiale e della globalizzazione potrà essere infinito. Il dato che ci convince di questa prospettiva, è molto semplice. Nel mondo, i possessori di azioni sono una piccolissima minoranza, rispetto al totale. Ora, se si considera che la popolazione della terra è composta di circa sei miliardi di persone, ciascuna delle quali rappresenta un "potenziale azionista", si comprende con facilità quanto sia grande il mercato da conquistare e come sia lontana la crisi. Pensate. Se solamente il dieci per cento della popolazione mondiale volesse acquistare una sola azione FIAT, i titoli "non basterebbero". E se per caso una simile richiesta dovesse essere rivolta alla borsa di Milano, il titolo Fiat schizzerebbe verso l'alto e raggiungerebbe quotazioni multiple del suo valore reale.
   La conclusione è evidente. Il titolo azionario è un bene rarissimo, con prospettive illimitate. E una breve riflessione ci può illuminare sulle sue potenzialità. Diogene viveva con il minimo indispensabile. E gettò via la propria ciotola, non appena realizzò che per bere gli bastavano le mani nude. Bene, se per caso le persone (per una moda o una nuova filosofia o simili) decidessero - come Diogene - di rinunciare a tutto ciò che non è strettamente necessario (e - ricordiamolo - nella maggioranza dei casi noi acquistiamo cose inutili), le borse crollerebbero immediatamente, di fronte alla perdita di valore di tutti i beni esistenti. Ma sarebbe anche possibile l'esatto contrario. E cioé, le borse potrebbero salire in modo incredibile, se solo nascesse una moda opposta, ossia quella di acquistare ogni genere di beni e di titoli azionari.
   Possiamo lasciare al caso queste due eventualità? Francamente no. Certamente noi non possiamo permettere che il mercato borsistico internazionale segua la "moda di Diogene", andando così verso l'autodistruzione. Noi dobbiamo far si che accada l'opposto. Ma per questo "intervento", gli strumenti finanziari classici non bastano più. Ora ci occorre un "management politico". Una disciplina operativa che guidi i capitali, come se fossero clienti in un supermercato. Un management che operi con quella "pubblicità commerciale", che costituisce il tessuto connettivo tra le autorità e milioni di persone che non si conoscono.
   Il problema è proprio commerciale, in quanto si tratta di diffondere il benessere come se fosse "un prodotto". Ma chi saprà risolverlo, usando adeguatamente queste tecniche "commerciali", darà ai mercati mondiali quello sviluppo che, per ora, hanno conosciuto solo "i beni di largo consumo". Il capitalismo non è affatto morto. Ma deve pensare ad un metodo nuovo e - soprattutto - deve costruire una direzione di management (e un "management politico"), presso il Fondo Monetario Internazionale e presso i singoli Paesi. Tutte risorse che, per ora, non ci sono. E l'impotenza di fronte a tante crisi, ha mostrato quanto sia preoccupante questa lacuna. In pratica, in questo momento noi abbiamo un mercato internazionale (che definiamo sinteticamente "globalizzazione"), ma non possediamo né una disciplina, né uno strumento di governo. Certo, spesso siamo dotati di tanta buona volontà. Ed esiste anche il "G9". Ma l'importanza dei valori in gioco impone ora una nuova disciplina. Quella che - per l'appunto - possiamo chiamare "management politico". (a.n.)

 


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