MARKETING SOCIALE POLITICO .

 

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DARE AGLI ALTRI UNA RAGIONE
PER ESSERE COME NOI LI VORREMO

 

Il marketing politico è quella cosa che l’Europa non ha. L’Italia si distingue per averne ancor meno. La globalizzazione ha già fatto scempio da noi, proprio perché noi non abbiamo un marketing politico. Per fare un piccolo esempio, tra tanti, le imprese tessili, che esistevano a Busto Arsizio, a Varese e a Como, solo 30 anni fa, ora non ci sono più. Sono state spazzate via dalla concorrenza dell’est asiatico. Ma siamo solo all’inizio, Perché tra poco graviteranno su di noi diversi milioni di imprese da tutto il mondo. E i nostri strumenti di difesa, come le manifestazioni di piazza, i sindacati, le leggi, le sanzioni, risulteranno come tante spade di cartone, contrapposte ai carri armati.
Cinquecento milioni di aziende, provenienti da tutto il mondo, vogliamo dire 70.000 imprese per ciascuno dei nostri magistrati. Una proporzione che ci sconsiglia di affrontare nell’argomento globalizzazione, "solo" dal punto di vista legislativo.
Marketing politico significa comprendere quello che abbiamo di fronte. E, soprattutto, significa realizzare che l’impresa oggi dispone di mezzi superlativi rispetto ai governi dei vari paesi del globo. Soros ha messo in ginocchio le monete di interi stati. E oggi gli uomini più ricchi al mondo sono loro: gli imprenditori.
C’è un solo mezzo per vincere. Occorre portare ai vertici dello Stato la cultura d’impresa. Solo dotando la cosa pubblica delle stesse capacità che hanno gli altri, si potrà sperare di vincere. Tra queste capacità esiste anche il marketing. Una scienza che ci manca praticamente un modo totale.
Noi abbiamo una enorme gap culturale. Non solo, non conosciamo il marketing. Ma, per di più, secondo alcuni autori, questa disciplina è addirittura inutile. Marketing, nell’immaginario collettivo, significa saponette e dentifrici. Ma, forse, è qualcosa di più. L'economia americana si è impennata, ai primi del 900, quando Henry Ford smise di vedere gli operai, come avversari e li valorizzò (spontaneamente e senza pressioni sindacali), considerandoli come collaboratori. Il boom continuò a crescere, quando le industrie smisero di vedere l'acquirente dei loro prodotti, come un avversario cui rifilare una cosa ad ogni costo e quando iniziarono a fare di tutto per realizzare seriamente i desideri delle persone. In fondo, il segreto del successo è tutto qui: dare agli altri una ragione per essere come noi li vorremo.
Ora, marketing politico significa tentare di portare nella politica e nello Stato proprio questa "filosofia". Per l’appunto, "dare agli altri una ragione per essere come noi li vorremo". Usare i vantaggi, le disponibilità e il lavoro d’impresa, per ottenere la giustizia sociale e il benessere. Una cultura che è tutta da inventare.

ALL’EUROPA SERVE UNA POLITICA DEI PREZZI
All’Europa serve una politica dei prezzi. Pricing, dicono gli americani. Bisogna abbassare le tasse, rendere più efficiente l’amministrazione, diminuire il costo del lavoro, aumentare le retribuzioni (ma, nel contempo, aumentare la quantità di lavoro pro capite), ridurre il deficit pubblico, semplificare le procedure di lavoro, avere una amministrazione che corre "alla velocità della luce". Quando avremo tutto questo, i capitali verranno da noi. Allora avremo più ricchezza, scenderà la disoccupazione, i prezzi dei prodotti miglioreranno e avremo beni e servizi in una quantità complessiva superiore.
La politica dei prezzi è tutto. Per avere i capitali, le imprese, i posti di lavoro, occorre semplicemente la convenienza. Per avere una agricoltura capace, senza "mucca pazza" e senza anomalie simili, occorre premiare i migliori. Per avere una raccolta dei rifiuti efficiente, per ottenere dei comuni capaci e preparati, occorre aumentare le retribuzioni di chi è più bravo. Per avere contribuenti più fedeli, occorre premiare puntualmente chi paga le tasse e mostrare la capacità di spendere. In una parola, tutto ciò che noi vorremmo ottenere solo con la "forza", può essere ottenuto con la "convenienza". Con il marketing , appunto.
Occorre cambiare strada. La politica fin qui seguita, e cioè il tentativo di avere una "razione uguale per tutti", non funziona. E’ questo quello che tiene lontano i capitali dall’Italia. Ed è soprattutto questa uguaglianza forzata, che impedisce alle capacità di crescere. Certo, nel nostro ordinamento giuridico (articolo 3 della Costituzione), esiste il principio di uguaglianza. Ma questo diritto non è il solo. Perché il nostro ordinamento giuridico prevede anche il diritto alla diversità del risultato. Probabilmente il diritto più dimenticato. E’ questa una regola sancita dall’articolo 36 della Costituzione, secondo il quale la retribuzione non è uguale per tutti, ma è proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.
Ebbene, occorre riflettere sulla importanza di questo diritto costituzionale. Perché, senza diritto alla diversità dei risultati, nessuno tenterà mai di raggiungere un obiettivo superiore. E, soprattutto, noi non otterremo quella fantasia, quell’entusiasmo e quella speranza, di cui avremmo un estremo bisogno per rilanciare la nostra economia.
La politica dei prezzi è anche questo. Un grande annuncio, ma soprattutto, una grande attività, con cui si promuova e si premi sistematicamente tutto ciò che è utile. E’ questo, in estrema sintesi, il principio cardine di quella disciplina che abbiamo chiamato "marketing politico".

RISOLVERE IL PROBLEMA DELLA POVERTA'
All'inizio di questo secolo non esistevano tutte le grandi ricchezze che oggi vediamo intorno a noi. Si tratta dunque di beni costruiti da zero e non di cose prese e trasferite da una persona a un'altra. Di conseguenza, il problema della povertà, che affligge milioni di persone, non può essere imputato ai "paesi ricchi" o al liberismo (come si sostiene spesso). Per il semplice fatto che quelle ricchezze - come si è detto - non sono state "prese" ma "create". Dunque, il problema della povertà sta nel"metodo". Che in certi casi ha prodotto ricchezza e in molti altri ha provocato la povertà. In una parola, non bisogna contrastare i metodi che hanno creato ricchezza nei paesi cosiddetti "capitalisti". Ma occorre semplicemente "imitarli", trasferendo il metodo giusto nel settore sociale dove c'è la povertà.
Ma non solo. Prendere ai ricchi per dare ai poveri (metodo "distributivo", sostenuto dalla cultura di sinistra) è in parte giusto (e già avviene con il prelievo tributario), ma non basta. Perché chi subisce l'esproprio viene automaticamente disincentivato e smette di produrre. Mentre chi si è avvantaggiato con l'esproprio brucia la ricchezza trasferita ma non viene spinto a progredire. E tutto resta come prima. In una parola, la sola "ridistribuzione" è, di fatto, come una mucca con tanti mungitori, ma senza fieno. Non funzionerà mai, da sola. In realtà, in questo momento gli uomini non hanno solamente bisogno di "distribuzione" della ricchezza, ma hanno bisogno di un grande "metodo" per creare ricchezza nuova (ossia aggiuntiva rispetto a quella esistente) e per dar vita ad una nuova tecnologia, che li aiuti a contenere proprio le mostruosità prodotte dalla "troppa tecnologia". Occorre sfamare intere popolazioni. Occorre portare il progresso e la cultura dove non ci sono. Bisogna poi coordinare e condurre le imprese esistenti, verso una produzione più equa, più pulita, più rispettosa della natura.
Chi ci guiderà su questa via? Il comunismo ha fallito. Il tentativo di ottenere la giustizia e la perequazione attraverso la sola "legge", si è dimostrato insufficiente. Dunque, quale strumento utilizzeremo? In pratica, il metodo attuale, usato dagli stati, non può - da solo - produrre quel salto di qualità di cui avremmo bisogno. Per fare un esempio a portata di mano, quando in Italia fu varata la nuova legge sul bollo, dopo pochi giorni, si potevano già trovare nelle edicole i testi commentati dai privati che spiegavano il funzionamento della stessa legge. Al contrario, ad anni di distanza, lo Stato non aveva ha ancora preparato i "tagli" esatti. Che dovranno essere ottenuti con "spazzature" non più in corso. Gli esempi di questo tipo sono ancora tantissimi e tutti ci dicono che i vecchi metodi usati dagli stati (statalismo, appunto) non bastano più.
Bisogna usare il ferro, se vince sul bronzo. E la solidarietà, per prevalere, dovrà adottare il liberismo, il mercato e il profitto. Ci sia permesso di dire che anche il nostro Creatore ha usato questa "tecnica".Il Buon Dio ha creato la vera solidarietà. Ma (Lui che è Onnipotente!) non ha usato il "tu devi", non ha detto alle api: "lavorate solo trentacinque ore, anziché quaranta, per dar spazio alle vostre sorelle". Ha invece ideato l'egoismo utile. Più l'ape lavora e più diffonde il polline. E così sorgono altre piante e con esse nuovo spazio per altre api. In natura, la solidarietà non nasce "dal sacrificio", ma dal "profitto ben orientato".
Questo modello va imitato. Occorre la cultura del premio e dell'esperienza d'impresa. Una cultura che gli stati devono imparare dalle aziende. Perché mai una politica ingessata ed esperta solo in leggi, potrà coordinare una umanità ricca di iniziative e di fantasia, come quella che si manifesta oggi. In una parola, occorrerà un "marketing politico" ossia quella tecnica (il marketing, appunto) che ha fatto esplodere i consumi nel mondo. E che, ora, usata opportunamente, potrà far recuperare il terreno perso dalla solidarietà.
Forse dovremmo rivedere alcuni concetti. Liberismo non significa necessariamente "assenza totale di vincoli". Lo stato liberale è ricco di regole. Ma queste sono chiare semplici. E - soprattutto - sono volte a proteggere il singolo, ponendolo in posizione preminente rispetto alla pubblica amministrazione. E' questa la visione dello Stato fatta da Locke (1632-1704), padre del moderno liberismo. Una visione in netto contrasto con quella di Rousseau (1712-1778) secondo il quale lo stato avrebbe avuto una posizione preminente, rispetto ai singoli.
Lo stato liberale, dunque, "deve" intervenire nella società, per creare ricchezza e benessere. E, per farlo, senza eccedere nella coercizione, ha un solo mezzo: mettersi alla pari dei cittadini, governando la società con strumenti contrattuali. In pratica, bisognerebbe diffondere il benessere e l'ordine, allo stesso modo in cui le grandi imprese internazionali diffondono i loro prodotti. E il marketing è uno strumento essenziale.Anche perché marketing non significa solo "spingere con la pubblicità martellante". Ma vuol dire "fare come si fa nel contratto". Non conoscendosi personalmente, lo scambio tra proposta e accettazione avviene con la pubblicità e le ricerche di mercato. In pratica, il marketing è come una grande forza creativa. Ma sarebbe ora che i politici iniziassero ad utilizzarla. Non solo come strumento "di battaglia" nella competizione tra partiti. Ma soprattutto come strumento per creare ricchezza, cooperazione e giustizia tra le persone. (a.n.)

 


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