MARKETING SOCIALE SINDACALE .
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LA NUOVA OCCUPAZIONE IN ITALIA PUO' DIPENDERE IN GRAN PARTE DALLE ORGANIZZAZIONI DEI LAVORATORI
Qualche tempo fa, la rivista americana News Week ha dato una notizia interessante, passata quasi del tutto inosservata, in Italia. La notizia era questa. Negli Stati Uniti i salari degli impiegati stanno salendo in modo notevole. E non per particolari contrattazioni sindacali. Ma solo per l'effetto prodotto dal mercato. Il fenomeno è molto semplice. Gli impiegati sono diventati "ricercati" e "preziosi", a causa del miracolo e economico americano (vicino al 5% di incremento del PIL), che ha creato la piena occupazione. Le aziende si fanno in quattro per premiare i dipendenti e per non farli fuggire. Questa tendenza è stata così rilevante, da portare - appunto - la rivista News Week a proclamare il '98 "l'anno dell'impiegato". Le retribuzioni quindi salgono in modo automatico. E il fenomeno si sta estendendo in tutti gli altri settori non impiegatizi, provocando una generale crescita delle retribuzioni.
Ora, questa notizia rappresenta "l'atomo", ossia il primo elemento concettuale, di quello che io definisco "marketing sociale". Il quale è in fondo molto semplice da comprendere. In pratica, per ottenere risultati economici, veramente vantaggiosi, non esiste solo la "lotta" e cioè, non si deve necessariamente ricercare la costrizione dell'avversario. Ma, al contrario, è anche possibile usare molte altre tecniche, nell'ambito di quella nuovissima disciplina che, per l'appunto, possiamo definire come "marketing sociale". In questa prospettiva, il sindacato ha una grande opportunità. Perché, imponendo politiche salariali "al ribasso", e provocando il progresso economico, può favorire la creazione di nuovi posti di lavoro. Può insomma richiamare i capitali e le imprese. Inducendo poi la "crescita" dei salari, con il fattore economico, sull'esempio americano. E questa "possibilità" del sindacato di operare, non con la sola "lotta", ma anche con metodi "commerciali", può essere definita "marketing sindacale".
Guardiamo i fatti. Il sindacato italiano è ormai una grande potenza economica. Influisce sulle leggi. Con la sua politica salariale, determina i prezzi dei prodotti. Ha entrate e bilanci per centinaia di miliardi. "Controlla" più di 10 milioni di lavoratori. E detiene una importanza economica, che può dirsi addirittura superiore a quella di interi Stati. Ora il sindacato deve pensare alle tecniche manageriali. Non può non farlo. Perché la sua dimensione lo richiede. In questo ambito, la prima operazione da compiere è la "previsione". Occorre saper vedere che in atto quel processo di "aggregazione universale", di cui ho parlato dalle pagine de "Il Giornale" (16/6/1998). Un processo che porta le imprese di tutto il mondo ad aggregarsi in entità sempre più grandi, ma con meno dipendenti. Una tendenza che ridurrà sempre di più il numero delle imprese e degli occupati.
La conclusione è molto semplice. Per bilanciare la perdita di posti di lavoro, all'Italia servirebbero (come minimo) un milione di nuove imprese. In quest'ottica il sindacato Italiano dovrebbe (da solo) rivedere la sua politica, principalmente in materia di pensioni. Per stabilire se sia maggiormente produttivo per la classe dei lavoratori "nel suo insieme" usare le risorse per dare le pensioni ai cinquantenni o se sia più utile spostare in avanti l'età pensionabile, utilizzando le entrate, per abbassare le tasse e per favorire la nascita di nuove imprese. Secondo un sindacalismo "classico", legato all'"800", quest'ultima soluzione sarebbe un modo per togliere qualcosa alla classe dei lavoratori. Al contrario, per chi si voglia proiettare nei problemi del 2000, si tratta invece di un utilizzo "commerciale" delle risorse. In pratica, una società con più imprese è una società con salari più alti. E ciò che si perde prima, ritorna dopo, "amplificato". Proprio come avviene nel commercio. (a.n.)
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