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CONSIDERAZIONI
SULLA PUBBLICITA' Definiamo
la pubblicità e il marketing ![]() Divieto
di spot LA SOCIETA' NON
CRESCE A SUON DI DIVIETI Il disegno Legge del Governo, contenente il divieto di spot politici, non convince. Perché l'articolo 21 della Costituzione stabilisce senza possibilità di equivoci che "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". Con la conseguenza che si possono forse limitare (a carte condizioni e con certe regole) solo gli spot di natura imprenditoriale, in quanto rientranti nel concetto di iniziativa economica (Art. 41 Cost.), ma non certo quelli che riguardano la libertà di espressione. Come sono ad esempio, gli "spot politici". Questi, infatti, rientrano nell'ambito del citato articolo 21 della Costituzione e non sono affatto sopprimibili (Corte Cost. 17/10/85 n. 231). Questa semplice osservazione dimostra l'inammissibilità del disegno di legge anti-spot. Anche perché, lo Stato più avanzato in materia - gli USA - da tempo (e dopo una lunga discussione giurisprudenziale), ha accordato piena libertà ad ogni forma di pubblicità politica e commerciale, facendola rientrare nel "First Amendament", la prima e la più importante garanzia costituzionale americana. Gli Stati Uniti sono più avanti di tutti. Nel diritto, nelle libertà e nell'economia. Non bisogna dimenticarlo. Nel mese di agosto, questo Giornale ha pubblicato due bellissimi servizi di Giuseppe Guzzanti sulla disciplina e sulle abitudini americane, anche in materia di pubblicità. Queste esperienze politiche ed economiche statunitensi brillano in cielo, come il sole a mezzogiorno. Come ha potuto il Governo Italiano ignorare l'esperienza legislativa americana? Questo è un grande mistero. Ma - comunque - questa dimenticanza costituisce un evento che annulla lo sforzo, fatto in precedenza dalla sinistra, per affrancarsi dalle idee totalitarie che costituiscono il suo patrimonio genetico. E getta una luce negativa su tutta la nostra legislazione. Si invoca spesso la normativa europea, quasi sempre improntata ai divieti di spot politici. Ma, con la pubblicità, siamo nel campo di quelle che potremmo chiamare le più nuove "invenzioni sociali". E - con tutta evidenza - prendere ad esempio chi ha 20 anni di esperienza (come gli Europei) ignorando chi ne ho più di 50 (come gli USA) è un po' che preferire la "Santa Inquisizione", a "Galileo Galilei". Insomma, riferirsi solo al vecchio continente, ignorando gli Stati Uniti d'America, sarebbe un po' come preparare una pubblicazione sulle grandi scoperte del "500", tacendo del tutto su Cristoforo Colombo. Dal punto di vista culturale, quanto viene ora previsto dal Governo, in materia di pubblicità politica, non presenta neppure intenti di "grandi nobiltà". Stiamo parlando di divieti. E, nella storia del diritto, la società non è mai cresciuta a suon di proibizioni. Oltre a tutto, bisogna dubitare fortemente che l'ultima sconfitta elettorale sia dipesa dalla "pubblicità televisiva" a favore di Berlusconi. Perché, già da un anno, i sondaggi annunciavano una crescita di Forza Italia verso la prima posizione politica. Ma, anche se così non fosse, il rimedio giusto dovrebbe essere un maggior impegno politico. Una rincorsa verso l'efficienza. Magari con una pubblicità uguale e contraria a quella di Berlusconi. Ma questo provvedimento, questo divieto di spot politici, sancisce la semplice rinuncia della sinistra a competere con il Polo della Libertà. Sembra proprio una "confessione di impotenza" del Governo. E, purtroppo per la sinistra, sarà un messaggio, negativo, che tutti comprenderanno molto bene.
Settimane precedenti Divieto
di spot IDEE SBAGLIATE
SULLA PUBBLICITA' Nell'affermare che la pubblicità commerciale è una cosa ben diversa da quella politica, la sinistra formula un giudizio semplicemente inesatto. Perché - in realtà - la politica ha un'influenza economica superiore a qualsiasi impresa. Un partito, ad esempio, con le sue iniziative e con l'indirizzo dato al governo, può influire sul bilancio dello stato, per centinaia di migliaia di miliardi, giungendo in certi casi a cambiare le sorti del paese. Per esempio, il centrodestra di Aznar ha creato due milioni di posti di lavoro, dall'inizio del suo andato, mentre il centrosinistra di Shroder ha bloccato l'economia tedesca. Ma non solo.
La settimana lavorativa di 35 ore - per fare un altro caso - può
trasformare la nostra economia molto di più di quanto non possa
fare un qualsiasi imprenditore, anche se dotato di un budget di pubblicità,
per centinaia di miliardi.
Con queste premesse, dire che la politica è un fatto "non commerciale",
pretendendo di sottrarsi al confronto "pubblicitario" tra partiti politici,
significa descrivere la realtà in modo diverso da quanto accade.
E la ricorrenza di questo errore di valutazione (soprattutto a sinistra),
ci dice che la politica va male, proprio perché ha continuato ad
affermare regole sbagliate. Come quelle sostenute dall'attuale governo,
con il disegno legge, con cui si vietano gli spot politici. In pratica,
quando si gestisce e si definisce in modo "non economico" ciò che
al contrario "è economico", le conseguenze sono quelle che noi
vediamo: debiti, disoccupazione, inefficienza, tasse alte. Per questi
motivi, non si può essere d'accordo con quanto scrive Stefano Folli
dalla pagine del "Corriere". A nostro avviso, non è affatto vero
che "la soluzione migliore è tenere il più lontano possibile
la propaganda politica dalla TV". Probabilmente, il 2000 ci dirà che la pubblicità non è "del commercio", "delle macchine" o "delle saponette". Ma ci dirà che la pubblicità è semplicemente uno strumento. E' un "acceleratore dell'azione" che produce il successo. Come risulta dal fatto che i paesi che hanno usato anche questo mezzo (anche in campo politico, come gli U.S.A.), sono progrediti, mentre quelli che l'hanno ignorato (come la Russia e tutti i paesi comunisti) sono rimasti arretrati. Con queste premesse, il disegno legge sul divieto degli spot politici, rappresenta uno scontro epocale tra tendenze opposte. Il "nuovo", contro il "vecchio". I creatori di benessere, contro i politici distributori di reddito. La fantasia, contro la politica polverosa. Gli inventori, contro i burocrati. Per ora, hanno vinto questi ultimi. Ma quanto durerà? |
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