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        LE UNDICI REGOLE DEL BENE COMUNE

 

 

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PRESENTAZIONE

di Giuseppe De Rita

 

Nella mia ormai lunga esperienza UCID, ho sempre avvertito la speciale tensione ad “esserci” che contraddistingue da sempre il Gruppo Lombardo. Non solo per la dimensione massiccia della sua partecipazione associativa, ma anche e soprattutto per la sua recisa determinazione nell’impegno a decifrare i termini fondamentali del lavoro UCID: l’imprenditore, l’impresa, il bene comune. Anche quando gli altri, me compreso magari, evitavano di confrontarsi con i tre termini, gli amici lombardi mantenevano su di essi una specifica e non generica attenzione.

Non mi ha quindi sorpreso che negli ultimi tempi essi abbiano organizzato un ciclo di tavole rotonde e poi un conclusivo convegno regionale sul rapporto fra imprenditoria, impresa e bene comune; una tappa importante, coltivata con grande continuità e con una crescente ricchezza di analisi e di riflessioni interpretative. Ed i risultati sono evidenti, visto che colpiscono subito tre importanti acquisizioni, capaci di andare oltre la spesso retorica letteratura sull’argomento.

La prima è il superamento del tabù costituito dalla parola “profitto”, in pratica citata solo nella prima delle undici regole di sintesi, senza nessuna ulteriore sottolineatura di una sua importanza (tecnica, morale, religiosa) che ha occupato decenni di discussione. La seconda è il coraggio con cui si affronta la necessità di definire con semplicità il contenuto del termine “bene comune”, mi è sembrato decisiva al riguardo l’importanza attribuita ai “benefici immateriali che danno all’uomo un appagamento spirituale, come i sentimenti, la famiglia, l’amicizia e la pace”, il che rappresenta una innovazione che supera sia le antiche mura materialistiche del bene comune sia le più recenti tendenze a valorizzare la sua dimensione istituzionale, nazionale come internazionale. E la terza decisiva acquisizione è quella relativa alla “centralità dell’uomo come cuore pulsante del bene comune”, una acquisizione almeno per me importante ed inattesa, perché richiama il fatto che noi non dobbiamo sentirci soggetti di domanda di un bene comune, che altri devono costruire ma dobbiamo sentirci “motore primario nella organizzazione e valorizzazione del bene comune, così come Nostro Signore è il motore del creato”.

Sono frasi in cui mi ritrovo moltissimo, che mi ricordano il grande afflato della Populorum Progressio (“ogni sforzo che l’uomo fa per lo sviluppo comune è partecipazione alla creazione del sovrannaturale”), e che sono sempre state alla base del mio lavoro, tutto teso, anche quando fui all’UCID, a stimolare il flusso collettivo di responsabilizzazioni personali volte a creare qualcosa di nuovo.

Gli amici lombardi hanno fatto un gran passo in avanti, aiutando tutti noi a focalizzare meglio i problemi e le sfide che abbiamo di fronte, specialmente nel capire interrelazione fra imprenditorialità e bene comune. E ad aprire contemporaneamente lo spazio di approfondimento ancora necessario per capire ruolo e relazioni del soggetto “impresa”; e dovremo tutti lavorare sulle due regole ad esso relative (la 8 e la 9) che avviano la faticosa decifrazione del filo rosso che mette in connessione l’impresa (soggetto sfuggente e complesso) con il rapporto, già oggi fra imprenditore e bene comune. Faremo fatica, ma la cosa non deve stupire, noi siamo un’associazione di imprenditori e non di imprese; e come persone più che come strutture aziendali, ci ritroviamo sfidati dal problema del bene comune. Alla impresa come struttura complessa e fortemente regolata, dovremo tornarci, nel tentativo di capirne il suo ruolo nella costruzione del bene comune; così come dovremo riprendere la riflessione sulla crescente delicatezza del rapporto fra bene comune e responsabilità dei pubblici poteri. Siamo al riguardo tutti prigionieri di una ancora ottocentesca concezione dello Stato (il quale resiste all’idea di essere anch’esso impresa) e ciò riduce di molto le possibilità di una sua collaborazione con tutti gli altri soggetti sociali, primi fra tutti gli imprenditori.

Non ho dubbi che in questo impegno a guardare il bene comune dal duplice punto di vista dell’impresa e delle istituzioni pubbliche in prima fila ci saranno come sempre gli amici del Gruppo Lombardo.

Ad essi quindi va una mia doppia gratitudine: per quel che essi sono stati e sono nella vita dell’UCID; e per il passo avanti che con questa pubblicazione mi hanno aiutato a fare su un tema che da tempo appariva bloccato. Al prossimo passo avanti allora, con fiducia.

 

Giuseppe De Rita*

 

 

* Studioso di Scienze Economiche e Sociali e Presidente del CENSIS.

 


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